λ (Lambda): in chimica nucleare, indica la costante di dimezzamento.
L'idea di scrivere un post su Half Life mi è venuta stanotte, cercando di prendere sonno. Non avevo pensato però che si tratta di un argomento cosi vasto e dalla portata così ampia, da non sapere nemmeno da dove iniziare, così ho esordito con due definizioni sommarie, scopiazzate da wikipedia perchè si, io ho fatto lo scientifico, mi sono fatto 5 anni di fisica, 5 di chimica ma alla fine ci ho sempre capito poco.
Infatti, quando penso alla fisica nucleare e a quel simpatico simbolo sopra, mi viene in mente la vicenda di Gordon Freeman, e non terrificanti e noiose lezioni in aule terrazzate con vecchi banchi di legno bucati dalle tarme, con strumenti vittoriani con nomi strambi come becco "bunsen" e provette texturizzate di polvere depositata in secoli e secoli di lezioni nel "laboratorio di chimica". Fu proprio durante gli anni del liceo scientifico che scoprii Half Life.
Tale era la mia comprensione di queste materie che una delle innumerevoli professoresse che si sono succedute negli anni d'oro della scuola pubblica italiana mi aveva soprannominato lo "scienziato pazzo", perchè appunto non avevo molta idea di quello che stavo facendo.
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"si dice FRANKENSTIN!!!!" |
L'influenza e l'importanza di Half-Life nella storia dei videogiochi è stata tale da ridefinire un genere, quello degli sparatutto in soggettiva, nato solo da pochi anni ma che visse un successo clamoroso.
I primi anni '90 videro infatti la nascita di un nuovo tipo di videogiochi, inizialmente pensato per il personal computer ma poi diffusosi anche alle console casalinghe.
L'esperienza si presentava radicalmente diversa da tutte quelle precedenti, perchè il cambiamento del punto di vista letteralmente "buttava" il giocatore nel pieno dell'azione, mostrando direttamente quello che il proprio alter ego sullo schermo vedeva, senza i "filtri" delle visioni isometriche onniscenti: l'utente era a conoscenza solo di quello che il protagonista poteva vedere, in una rappresentazione tridimensionale del mondo, seppur artificiosa e approssimativa.
Gli indiscussi padri di questo nuovo genere sono i 4 fondatori della software house ID Software, nata nel 1991 a Richaardson, Texas: John Carmack e John Romero erano i programmatori, Tom Hall il game designer e Adrian Carmack l'artista concettuale.
Se oggi i ragazzini fissati con il deathmatch passano ore e ore a friggere pad giocando a Call of Duty, devono ringraziare questi titani della storia dei videogiochi, che crearono da zero un motore grafico in grado di cambiare radicalmente il modo in cui venivano concepiti e giocati gli sparatutto.
Era il 1992 quando il ribollente mondo del videogaming venne scosso dall'uscita sul mercato di Wolfeinstein 3D, sviluppato dai ID su motore grafico proprietario, il Wolfenstein 3D Engine, in grado per la prima volta di rappresentare un mondo tridimensionale composto da una visione dinamica prospettica e popolato da singoli sprite (figure bidimensionali) che si muovevano in questo ambiente.
Wolfenstein 3D rappresenta l'evoluzione grafica e tematica di altri due giochi sviluppati dalla stessa casa texana nel 1991 - Hovertank 3D e Catacomb 3D -, che evidentemente aveva come obiettivo quello di portare le tre dimensioni in un genere già consolidato come quello degli sparatutto - che ha origini arcaiche, addirittura in Space Invaders della fine degli anni '70.
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Nelle immagini, Hovertank 3D (1991) e Catacomb 3D (1991), entrambi sviluppati da ID Software |
Entrambi i giochi usano la medesima tecnologia che sarebbe stata poi utilizzata in Wolfenstein 3D: muri in prospettiva dinamica e sprite bidimensionali; come si vede dalle foto però Hovertank 3D non presentava nessuna texture sulle pareti, che erano tutte colorate in psichedeliche e accesissime tinte unite, forse retaggio di quella follia lisergica multicolore alla Galaga, memorie di un tempo in cui le sale giochi erano tavolozze spixellate partorite da programmatori sotto acido lisergico.
L'obiettivo di Hovertank 3D era piuttosto semplice: girovagare in livelli tutti uguali composti da muri color Stabilo Boss "impersonando" un hovercraft alla ricerca di ostaggi da salvare (indicati da quegli enormi omini grigi), fronteggiando mostri e mutanti che scomparivano in una pozza di sangue una volta colpiti con una specie di fulmine.
Quindi il giocatore era semplicemente una "telecamera fluttuante", non c'erano mani, armi, o altre interfacce, solo un mirino a forma di X; curiosamente, vediamo apparire in basso a destra un elemento che poi scomparirà per qualche anno dagli sparatutto (incluso Wolfenstein 3D), ovvero un radar estremamente semplice, con puntini a indicare gli ostaggi da salvare, forse perchè era impossibile trovare punti di riferimento adeguati in quel marasma di muri fluorescenti.
Nello stesso anno uscirà Catacomb 3D, che rappresenta un ulteriore e importante passo avanti a livello tematico e grafico, un titolo che traghetterà la ID Software verso il grandissimo successo di Wolfenstein 3D. In questo gioco, sebbene dal punto di vista del gameplay si tratti di un prodotto sostanzialmente identico a Hovertank 3D (si esplorano livelli spogli e tutti uguali sparando a tutto quello che si muove e cercando una via d'uscita), appaiono alcuni elementi chiave, che si possono chiaramente vedere nell'immagine sopra.
Per la prima volta vediamo la mano del protagonista, che non è quindi solo un'astratta "telecamera fluttuante", ma un uomo in carne e ossa, un mago che spara palle di fuoco dalle dita; fa la sua prima apparizione anche il volto del protagonista in alto a destra, che reagirà ai colpi subiti trasformandosi gradualmente in un teschio: ritroveremo il viso del protagonista anche in Wolfenstein 3D e in DOOM, sempre della ID Software, elemento che diverrà l'iconico simbolo di questa rivoluzionaria ondata di giochi, destinata a cambiare per sempre il concetto stesso di "videogioco".
Parole forti, concetti pesanti che paiono esagerati, ma pensateci un momento: siamo passati da questo
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Uno screenshot di Beyond Castle Wolfenstein, 1984 |
a QUESTO, in soli 8 anni:
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Uno screenshot di Wolfenstein 3D |
Ora, è chiaro che questo è un discorso facile e semplicistico, come mettere vicino una foto di GTA 2 e GTA 5 e dire "oh ma guardate quanto sono cambiati i videogiochi in pochi anni, è fantastico!!".. però il punto è che a inizio anni '90 c'è stato davvero un giro di boa, un punto di non ritorno per il genere degli sparatutto, evoluzione esplosiva che poi si è estesa a vari altri generi: la rappresentazione tridimensionale "inventata" nel 1991 diverrà modello standard e codice stilistico di molte tipologie di giochi, dai GDR alla Skyrim agli stealth alla Thief, e questo per un motivo molto semplice, immergeva direttamente il giocatore in un'altra realtà.
Prendiamo l'immagine sopra, quella con colori (di nuovo) psichedelici - si sono mai visti muri VIOLA e porte AZZURRO FLUO??? - tratta da un gioco di grande successo, una sorta di precursore dei moderni stealth/sparatutto, ovvero Beyond Castle Wolfenstein, a sua volta seguito di un'altra pietra miliare anni '80, ovvero Castle Wolfenstein, uscito quando sono nato io, nel 1981.
Viene rappresentato un mondo di gioco di cui noi sappiamo immediatamente ogni cosa: vediamo dove sono i muri, le porte, i nemici, tutto. E poi c'è quell'altra cosa, quella stramba rappresentazione di una realtà evidentemente illogica e assurda come un quadro di Escher, un mondo in cui i muri sono visti dall'alto, mentre le porte in prospettiva, roba da fare uscire di testa anche Christopher Nolan.
Crediamo a questa realtà? NO. Ci immedesimiamo? NO. Siamo come entità superiori onniscenti che vedono tutto e gestiscono la vita elettronica del protagonista, siamo OLTRE il gioco, non siamo DENTRO il gioco.
Ora guardiamo l'immagine di Wolfenstein 3D, e capiamo perchè è stato raggiunto il punto di svolta, e niente potrà mai essere più come prima. Siamo violentemente scaraventati nei panni del soldato degli Stati Uniti Joseph Blazcowicz, addirittura vediamo la tensione sul suo volto, che guarda con occhi impauriti a destra e a sinistra mentre un rivolo di sangue scende dal labbro; siamo direttamente minacciati da un nemico in carne e ossa, che ci punta una pistola addosso per ucciderci, mentre noi vediamo la nostra pronta a fare fuoco.
E allo stesso momento sostituiamo la rappresentazione anonima e iconica di Beyond Caste Wolfenstein con quella descrittiva e immediatamente riconoscibile di Wolfenstein 3D: i vestiti del nostro nemico, i quadri alle pareti e la tipologia delle armi ci suggeriscono immediatamente un periodo storico ben preciso (la seconda Guerra mondiale) e un luogo altrettanto preciso (la Germania nazista), e il nostro ruolo è chiaro sin da subito. Uccidere quanti più nazisti possibile e scappare da questo ambiente, il castello di Wolfenstein da cui il titolo.
Proprio per questi motivi Wolfenstein 3D può definirsi un sequel indiretto di Beyond Castle Wolfenstein, cui si ispira direttamente, a partire dal titolo; Per Carmack, che forse aveva amato il gioco del 1984 omaggiandolo nella sua creatura 8 anni più tardi, non era ancora abbastanza.
Le idee che aveva in mente erano talmente innovative che non era stato in grado di condensarle tutte nella vicenda del soldato braccato dai nazisti, e così un anno dopo diede alla luce un altro capolavoro, che oltre a portare alla completa maturazione le novità introdotte in Wolfenstein 3D, creò un vero e proprio modello di riferimento con cui tutte le successive generazioni di game designer e artisti dovranno misurarsi, almeno fino all'avvento di Gordon Freeman e del suo piede di porco.
Sto ovviamente parlando di Doom, la cui fama è tale da avere oltrepassato i confini del mondo dei videogiochi per arrivare a quelli del cinema (si, esiste un film di Doom, ovviamente una schifezza) e della cultura popolare (è citato da Frankie Hi Nrg Mc nel brano "Quelli che benpensano"), oltre ad avere vissuto varie incarnazioni in fumetti, libri, giochi da tavolo, action figure..
Questo non è un post su Doom e - come spesso mi accade - sto scrivendo troppo, quindi mi limiterò a dire che Carmack con questo gioco sviluppa in modo esponenziale tutte quelle innovazioni che avevano fatto la fortuna di Wolfenstein 3D, grazie all'ideazione e alla programmazione di un nuovo motore grafico, che permette la creazione di un ambiente di gioco molto più vario e articolato.
Una volta creato un nuovo mondo, era necessario renderlo attraente: Carmack fu il demiurgo di una nuova realtà che sostituì per sempre quella precedente, ma era una una realtà parziale, provvisoria e straniante: in Wolfenstein 3D tutti i livelli erano come un'immensa colata di cemento dal colore uniforme, con muri tutti uguali e un soffitto sempre dalla stessa altezza e sempre dello stesso grigio topo. Non si poteva saltare e tutto l'ambiente di gioco era pervaso da una penombra uniforme, con l'unica possibilità di interazione riservata alle porte, ma con Doom cambiò tutto, ancora una volta.
Quando nel 1993 Doom cominciò a girare sui personal computer, sembrava fosse iniziata una nuova era dei videogiochi, e la distanza con i predecessori parve abissale.
Doom era caratterizzato da livelli labirintici e articolati, da una varietà e qualità delle texture mai vista, da un inedito sistema di controllo combinato di tastiera e mouse, da una gestione dei power-up (invisibilità, potenziamento armi, aumento armatura..) innovativa, un maggior numero di armi disponibili, e l'uso sapiente e innovativo dell'illuminazione e della colonna sonora per ricreare un'atmosfera estremamente convincente e appassionante.
Avete presente quelle ambientazioni tanto in voga negli sparatutto moderni, che mischiano horror e fantascienza? (Prototype, F.E.A.R., Jericho e miliardi altri..). Sono nati con Doom.
Avete presente la ricerca spasmodica di chiavi/leve/meccanismi che aprono porte altrimenti chiuse per procedere nel livello? Anche questa meccanica è nata con Doom.
Avete presente livelli labirintici, con stanze segrete che se individuate ricompensano il giocatore con power up? Anche questa idea è nata con Doom.
Avete presente quella schermata tra i livelli che riassume nemici uccisi, obiettivi segreti, stanze segrete scopert? Per la prima volta è apparsa in Doom
Avete presente il classico arsenale degli sparatutto? del tipo pugni, pistola, fucile a pompa, mitragliatrice, bazooka? Bene, anche questo è nato con Doom.
Da queste riflessioni è chiaro come Doom sia stata la pietra angolare per lo sviluppo degli sparatutto moderni, genere che non soltanto il prodotto della ID ha fatto nascere, ma che ha anche fatto conoscere al grande pubblico: come detto, Doom fu un successo planetario senza precedenti, che fissò nuovi standard a livello di gameplay e codificò un genere che in quegli anni stava muovendo i primi passi.
La "codifica" fu di tale portata che tutti gli innumerevoli cloni del capolavoro della ID dovettero misurarsi con un modello troppo ingombrante, finendo per essere delle mediocri riproposizioni di un sistema di gioco ormai consolidato dove le poche variazioni non reggevano un confronto comunque già durissimo in partenza.
La conseguenza fu che gli unici prodotti che riuscirono a emergere nella massa indistinta di cloni di Doom furono quelli che nei 4/5 anni successivi portarono delle novità a livello di meccanica di gioco, oppure a livello contenutistico. Sto parlando rispettivamente di GoldenEye 007 e di Duke Nukem 3D.
La storia di questo genere molto specifico si intreccia con la storia delle console casalinghe, che nei primi anni '90 stavano conquistando sempre più popolarità: ricordo che la Playstation 1, che fu un successo enorme di pubblico, venne venduta a partire dal 1995 in Giappone e nel 1996 in Europa, e non ci volle molto tempo prima che le software house provassero a "esportare" generi pensati per i personal computer anche per le nuove console. Un tentativo - ottimamente riuscito - è stato appunto GoldenEye 007, pubblicato per Nintendo 64 nel 1997, uno dei pochissimi casi di videogiochi tratti da film che non siano stati una boiata pazzesca.
Il "particolare" (orrendo..) controller della Nintendo 64 permetteva con la sua levetta analogica centrale di controllare alla perfezione non solo il sistema di mira di James Bond, ma anche gli spostamenti laterali (gli "strafe" come si chiamano in gergo), che erano stati introdotti con espressioni di oooooohhhhhh! da Doom e che facevano parte del bagaglio tecnico di ogni buon giocatore di sparatutto.
Una delle perplessità maggiori legate alla programmazione di giochi sparatutto su console era proprio quella relativa al sistema di controllo, che come abbiamo visto aveva raggiunto la perfezione con la combinazione di tastiera e mouse, rispettivamente per movimento e sparo; GoldenEye 007 dimostrò che era possibile sviluppare ottimi sparatutto anche per console, infatti oggi la maggior parte dei giochi sviluppati per le varie Xbox e Playstation sono, appunto, sparatutto.
Ma GoldenEye 007 fu importante anche per un altro motivo, a livello più profondo: per la prima volta si cominciavano a prendere le distanze dal capostipite Doom, proponendo un gameplay meno frenetico e più ragionato, più realistico, con elementi tipici degli stealth game che nei decenni successivi verranno applicati con diverse fortune al genere che sto prendendo in esame, creando degli ibridi dall'altalentante successo commerciale, come i vari Metal Gear Solid, Syphon Filter, Thief, Dishonored...
E ora.. il Duca. Chi non conosce il duca?
Quando penso al Duca mi viene in mente una calda estate del 1996, avevo 15 anni ed ero appena uscito dall'ospedale per un'operazione, e a farmi compagnia nella convalescenza c'era questo bellimbusto muscoloso e spaccone, che non perdeva occasione per insultare gli alieni che stavano invadendo la terra, pisciare in giro per i livelli, guardare film porno in rozzi cinema spixellati, buttare dollari addosso alle spogliarelliste, e arrabbiandosi per avere pestato una cacca.
Duke Nukem 3D era qualcosa di completamente diverso da Doom, pur non cambiando una virgola del sistema di gioco, tranne per alcuni dettagli (il Duca si poteva tuffare in acqua, alcune parti del livello erano distruggibili rivelando aree segrete, vi era una maggiore interattività con gli ambienti); in un'epoca in cui gli eroi dei videogiochi spara-spara-ammazza-ammazza (come direbbe qualcuno) erano marine o soldati silenziosi, Duke Nukem - il nome appunto del protagonista - parlava in continuo, insultando gli alieni appena morti, provando soddisfazione dopo essersi "liberato" nei bagni, facendo apprezzamenti sessisti alle ballerine mezze nude, insomma non era solo una pistola fluttuante, ma un vero e proprio truzzo maschilista, volgare e puttaniere, l'uomo adatto per affrontare un'orda di alieni intenzionata a invadere la terra.
I due esempi che abbiamo visto sono stati tentativi di "smarcarsi" da un modello troppo ingombrante, cercando di proporre qualcosa di nuovo, modificando (ma non troppo) l'impianto di gioco, oppure trasformando uno sparatutto frenetico e fantascientifico in un gioco dissacrante, volgare e con un protagonista sboccato e unico nella storia dei videogiochi.
Ma la vera rivoluzione, quella che rimescolerà le carte in tavola, giungerà nel 1998, e avrà il volto di Gordon Freeman, che dopo le disavventure a Black Mesa occuperà un posto in prima fila nell'olimpo dei personaggi dei videogiochi, proprio accanto all'idraulico italoamericano, al poercospino blu, all'ingegnere minerario goffo e a un tetramino rosso.
Half-Life non è solo considerato uno degli sparatutto più belli di sempre, ma uno dei giochi in assoluto più belli mai creati nonchè uno dei più influenti.
Half Life non aveva nulla a che fare con i giochi che erano stati fatti fino a quel momento, con cui condivideva forse solamente il fatto di dovere sparare con un'arma per difendersi dai nemici. Già dai primissimi secondi di gioco fu chiaro che ci si trovava davanti a qualcosa di unico, una novità assoluta e dal potenziale enorme: non c'erano testi, non c'erano schermate animate che ci presentavano la vicenda, eravamo solo noi - giocatori increduli e dagli occhi spalancati - e lui, il fisico teorico Gordon Freeman, un quattrocchi un pò nerd - proprio come noi - che si addentrava nelle viscere di una base di ricerca segreta, Black Mesa, a bordo di un convoglio automatico.
C'era un lungo corridoio scuro, sulla sinistra un paramilitare col dito sul mitragliatore ci guardava passare velocemente, e poi dopo un'altra curva nel buio solo debolmente rischiarato dai neon sopra le nostre teste sbucavamo in ampie aree brulicanti di scienziati, bidoni e contenitori con strani simboli, uffici illuminati a giorno nella profondità della terra, bracci robotici intenti a spostare oggetti sconosciuti: il senso di smarrimento e di alienazione non potrebbe essere più straniante, non capiamo dove siamo, perchè siamo a Black Mesa e cosa sta succedendo intorno a noi.
Passiamo di fianco addirittura a un razzo pronto sulla rampa di lancio, ma la maggior parte del tempo la passiamo AL BUIO, in lunghissimi tunnel che paiono andare sempre più in profondità, fino a quando il trenino deserto - ma come mai solo noi stiamo facendo questo viaggio?? - si ferma su una piattaforma, che scende verticalmente nelle viscere della terra, fino a sbucare in una enorme galleria artificiale scavata nella montagna, passiamo di fianco a un elicottero da guerra in partenza (ma non era una base di ricerca scientifica??) e arriviamo a queste porte.. enormi, con serrature meccaniche a prova di bomba, chissà per contenere che cosa..
Altri tunnel, labirintici, che si illuminano al nostro passaggio, e poi un'altra area con enormi pistoni circondati da scariche di energia colorata, il frastuono è terribile ma il convoglio prosegue imperterrito, e noi continuiamo ad essere spettatori ignari di quello che stiamo vivendo, aspettando finalmente di arrivare a destinazione.
Poco per volta percepiamo di essere un minuscolo ingranaggio in una macchina perfettamente oliata che esegue operazioni di smistamento, gestione merci, attività scientifiche e militari in una totale automazione, come vediamo dai macchinari che ci sfilano di fianco; la presenza dell'uomo pare essere minima in questa base di ricerca , e dopo svariati minuti di viaggio ancora non intravediamo il traguardo, il nostro posto di lavoro, mentre ci addentriamo nelle viscere della montagna, con una sottile inquietudine di fondo.
Scendiamo ancora più in basso, fino ad arrivare a uno spiazzo dove facciamo strada a un enorme robot aracnoide che lavora in una pozza di materiale radioattivo verde Tommyknocker, mentre sulla sinistra notiamo un convoglio fermo identico al nostro, con all'interno uno scienziato e un elegante signore in giacca e cravatta che ci scruta, immobile.
Ripartiamo verso altri cunicoli bui e finalmente arriviamo alla nostra destinazione, i laboratori sperimentali e le strutture di contenimento del settore C. Qui inizia la storia di Half-Life.
La sequenza iniziale che ho descritto è un esempio di come vivremo la storia di Gordon Freeman, che non ci verrà mai descritta con scene d'intermezzo, filmati o schermate iniziali, ma semplicemente verrà "presentata" a mano a mano che vivremo gli eventi narrati, con un sistema di sequenze scriptate che fanno seguire a una causa (l'attraversamento di un determinato luogo, o l'avvicinarsi a un macchinario) un effetto conseguente ben preciso (il crollo del soffitto, o l'inizio di un dialogo); tutto ciò spinge il giocatore a pensare di trovarsi in una realtà effettiva con precisi legami sequenziali tra azione e reazione, in un continuum di eventi che appassiona e che aiuta la sospensione di incredulità.
Non esistono quindi "livelli" in senso stretto, o porte che conducono a un'area diversa, ma esiste un fluire continuo e ininterrotto della storia, divisa in blocchi per comodità e per esigenze di hardware: le sezioni di gioco sono piuttosto piccole per favorire il caricamento degli stessi, ma non si avverte mai una discontinuità. Sempre per favorire l'immedesimazione il protagonista Gordon Freeman non parla mai, non si vede mai, quindi possiamo a tutti gli effetti ESSERE noi Gordon Freeman.
Come ho cercato di mostrare nell'immagine sopra, anche l'interfaccia di gioco è al servizio della narrazione e dell'immedesimazione: senza fronzoli o informazioni inutili (il volto del protagonista, la quantità totale delle munizioni di ogni arma..), mostra solamente salute, armatura e munizioni, in uno stile molto minimale e discreto, anche se chiaro e evidente. Anche in questo Half-Life è stato innovativo, perchè dovranno passare ancora molti anni prima che le interfacce vengano totalmente eliminate, come ad esempio nella serie di Dead Space.
Provate a confrontare questa immagine con quelle di Duke Nukem 3D e di Doom: altri giochi e altre epoche ovviamente, ma anche altre un'altra concezione di un genere che ormai era giunto a maturazione e si era trasformato: appoggiandosi sulle solide fondamenta dei "padri fondatori", Half-Life realizza il sogno e l'ideale di un gioco completo sotto tutti i punti di vista, che sa unire le perfette meccaniche di uno sparatutto con una narrazione di altissimo livello, raccontata in modo innovativo e intenso, e che permette al fruitore di vestire i panni convincenti di un fisico teorico che di colpo si ritrova a lottare contro una forza aliena, cercando di sfuggire da una base di ricerca sotterranea, braccato anche dai militari che intendono insabbiare l'incidente.
Proprio nel protagonista c'è l'ennesimo e forse più grande punto di rottura: in Half-Life non impersoniamo un marine spaziale, un militare americano o una macchina da guerra tutta muscoli e steroidi, ma semplicemente un uomo normale, uno scienziato che una mattina come tante altre va al lavoro e si ritrova dopo la mitica "cascata di risonanza" a combattere contro alieni sbucati da chissà quale universo, e l'unica cosa che può fare è scappare.
La cosa straordinaria è che la storia e le meccaniche di gioco si piegano a questa decisa inversione di tendenza, e qui i ragazzi della software house Valve compiono il capolavoro: in Half Life non si deve solo sparare a tutto quello che si muove, ma bisogna anche usare la testa, d'altra parte siamo nei panni di un fisico teorico, no?
Spesso quindi avremo a che fare con valvole da aprire e chiudere, tubazioni e condotti da riparare, macchinari da utilizzare per superare ostacoli all'apparenza insormontabili, elevatori da attivare, porte da aprire con l'immancabile piede di porco, la prima arma che avremo e lo strumento che ci salverà la vita innumerevoli volte, talmente importante da diventare icona stessa del gioco, e simbolo dell'ingegno scientifico che spesso supplisce l'assenza di forza fisica del nostro buon Gordon
Io ritengo che la portata rivoluzionaria di Half-Life sia stata tale da dividere il genere degli sparatutto in due fasi ben distinte: quella "pre-Gordon" e quella "post-Gordon"; dopo le vicende di Black Mesa la tendenza sarà quella di raccontare storie nel modo più armonico e fluido possibile, "liberando spazio" a schermo alleggerendo l'interfaccia, e spesso affidando il destino dell'umanità in pericolo a un uomo qualunque, un Gordon qualsiasi, un Isaac qualsiasi, o una Amanda qualsiasi.
Gordon Freeman è stato mio compagno di banco al liceo, me lo ricordo ancora a seguire con interesse le lezioni di fisica e chimica, mentre io sbuffavo perchè ci capivo poco o nulla. Era proprio un nerd quel Gordon, ma con il piede di porco ci sapeva fare.
Eccome.
Doom era caratterizzato da livelli labirintici e articolati, da una varietà e qualità delle texture mai vista, da un inedito sistema di controllo combinato di tastiera e mouse, da una gestione dei power-up (invisibilità, potenziamento armi, aumento armatura..) innovativa, un maggior numero di armi disponibili, e l'uso sapiente e innovativo dell'illuminazione e della colonna sonora per ricreare un'atmosfera estremamente convincente e appassionante.
Avete presente quelle ambientazioni tanto in voga negli sparatutto moderni, che mischiano horror e fantascienza? (Prototype, F.E.A.R., Jericho e miliardi altri..). Sono nati con Doom.
Avete presente la ricerca spasmodica di chiavi/leve/meccanismi che aprono porte altrimenti chiuse per procedere nel livello? Anche questa meccanica è nata con Doom.
Avete presente livelli labirintici, con stanze segrete che se individuate ricompensano il giocatore con power up? Anche questa idea è nata con Doom.
Avete presente quella schermata tra i livelli che riassume nemici uccisi, obiettivi segreti, stanze segrete scopert? Per la prima volta è apparsa in Doom
Avete presente il classico arsenale degli sparatutto? del tipo pugni, pistola, fucile a pompa, mitragliatrice, bazooka? Bene, anche questo è nato con Doom.
Da queste riflessioni è chiaro come Doom sia stata la pietra angolare per lo sviluppo degli sparatutto moderni, genere che non soltanto il prodotto della ID ha fatto nascere, ma che ha anche fatto conoscere al grande pubblico: come detto, Doom fu un successo planetario senza precedenti, che fissò nuovi standard a livello di gameplay e codificò un genere che in quegli anni stava muovendo i primi passi.
La "codifica" fu di tale portata che tutti gli innumerevoli cloni del capolavoro della ID dovettero misurarsi con un modello troppo ingombrante, finendo per essere delle mediocri riproposizioni di un sistema di gioco ormai consolidato dove le poche variazioni non reggevano un confronto comunque già durissimo in partenza.
La conseguenza fu che gli unici prodotti che riuscirono a emergere nella massa indistinta di cloni di Doom furono quelli che nei 4/5 anni successivi portarono delle novità a livello di meccanica di gioco, oppure a livello contenutistico. Sto parlando rispettivamente di GoldenEye 007 e di Duke Nukem 3D.
La storia di questo genere molto specifico si intreccia con la storia delle console casalinghe, che nei primi anni '90 stavano conquistando sempre più popolarità: ricordo che la Playstation 1, che fu un successo enorme di pubblico, venne venduta a partire dal 1995 in Giappone e nel 1996 in Europa, e non ci volle molto tempo prima che le software house provassero a "esportare" generi pensati per i personal computer anche per le nuove console. Un tentativo - ottimamente riuscito - è stato appunto GoldenEye 007, pubblicato per Nintendo 64 nel 1997, uno dei pochissimi casi di videogiochi tratti da film che non siano stati una boiata pazzesca.
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La copertina di GoldenEye 007, con il bel faccione di Pierce Brosnan ; ammettiamolo, fa sempre un pò ridere l'attore di turno spiaccicato sulla cover di un videogioco. |
Il "particolare" (orrendo..) controller della Nintendo 64 permetteva con la sua levetta analogica centrale di controllare alla perfezione non solo il sistema di mira di James Bond, ma anche gli spostamenti laterali (gli "strafe" come si chiamano in gergo), che erano stati introdotti con espressioni di oooooohhhhhh! da Doom e che facevano parte del bagaglio tecnico di ogni buon giocatore di sparatutto.
Una delle perplessità maggiori legate alla programmazione di giochi sparatutto su console era proprio quella relativa al sistema di controllo, che come abbiamo visto aveva raggiunto la perfezione con la combinazione di tastiera e mouse, rispettivamente per movimento e sparo; GoldenEye 007 dimostrò che era possibile sviluppare ottimi sparatutto anche per console, infatti oggi la maggior parte dei giochi sviluppati per le varie Xbox e Playstation sono, appunto, sparatutto.
Ma GoldenEye 007 fu importante anche per un altro motivo, a livello più profondo: per la prima volta si cominciavano a prendere le distanze dal capostipite Doom, proponendo un gameplay meno frenetico e più ragionato, più realistico, con elementi tipici degli stealth game che nei decenni successivi verranno applicati con diverse fortune al genere che sto prendendo in esame, creando degli ibridi dall'altalentante successo commerciale, come i vari Metal Gear Solid, Syphon Filter, Thief, Dishonored...
E ora.. il Duca. Chi non conosce il duca?
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Non QUESTO Duca. Anche se anche il buon David ha sfiorato il mondo dei videogiochi, con The Nomad Soul, dove appariva come personaggio e per il quale aveva curato la colonna sonora. |
Duke Nukem 3D era qualcosa di completamente diverso da Doom, pur non cambiando una virgola del sistema di gioco, tranne per alcuni dettagli (il Duca si poteva tuffare in acqua, alcune parti del livello erano distruggibili rivelando aree segrete, vi era una maggiore interattività con gli ambienti); in un'epoca in cui gli eroi dei videogiochi spara-spara-ammazza-ammazza (come direbbe qualcuno) erano marine o soldati silenziosi, Duke Nukem - il nome appunto del protagonista - parlava in continuo, insultando gli alieni appena morti, provando soddisfazione dopo essersi "liberato" nei bagni, facendo apprezzamenti sessisti alle ballerine mezze nude, insomma non era solo una pistola fluttuante, ma un vero e proprio truzzo maschilista, volgare e puttaniere, l'uomo adatto per affrontare un'orda di alieni intenzionata a invadere la terra.
I due esempi che abbiamo visto sono stati tentativi di "smarcarsi" da un modello troppo ingombrante, cercando di proporre qualcosa di nuovo, modificando (ma non troppo) l'impianto di gioco, oppure trasformando uno sparatutto frenetico e fantascientifico in un gioco dissacrante, volgare e con un protagonista sboccato e unico nella storia dei videogiochi.
Ma la vera rivoluzione, quella che rimescolerà le carte in tavola, giungerà nel 1998, e avrà il volto di Gordon Freeman, che dopo le disavventure a Black Mesa occuperà un posto in prima fila nell'olimpo dei personaggi dei videogiochi, proprio accanto all'idraulico italoamericano, al poercospino blu, all'ingegnere minerario goffo e a un tetramino rosso.
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Vincent Van Gordon |
Half Life non aveva nulla a che fare con i giochi che erano stati fatti fino a quel momento, con cui condivideva forse solamente il fatto di dovere sparare con un'arma per difendersi dai nemici. Già dai primissimi secondi di gioco fu chiaro che ci si trovava davanti a qualcosa di unico, una novità assoluta e dal potenziale enorme: non c'erano testi, non c'erano schermate animate che ci presentavano la vicenda, eravamo solo noi - giocatori increduli e dagli occhi spalancati - e lui, il fisico teorico Gordon Freeman, un quattrocchi un pò nerd - proprio come noi - che si addentrava nelle viscere di una base di ricerca segreta, Black Mesa, a bordo di un convoglio automatico.
C'era un lungo corridoio scuro, sulla sinistra un paramilitare col dito sul mitragliatore ci guardava passare velocemente, e poi dopo un'altra curva nel buio solo debolmente rischiarato dai neon sopra le nostre teste sbucavamo in ampie aree brulicanti di scienziati, bidoni e contenitori con strani simboli, uffici illuminati a giorno nella profondità della terra, bracci robotici intenti a spostare oggetti sconosciuti: il senso di smarrimento e di alienazione non potrebbe essere più straniante, non capiamo dove siamo, perchè siamo a Black Mesa e cosa sta succedendo intorno a noi.
Passiamo di fianco addirittura a un razzo pronto sulla rampa di lancio, ma la maggior parte del tempo la passiamo AL BUIO, in lunghissimi tunnel che paiono andare sempre più in profondità, fino a quando il trenino deserto - ma come mai solo noi stiamo facendo questo viaggio?? - si ferma su una piattaforma, che scende verticalmente nelle viscere della terra, fino a sbucare in una enorme galleria artificiale scavata nella montagna, passiamo di fianco a un elicottero da guerra in partenza (ma non era una base di ricerca scientifica??) e arriviamo a queste porte.. enormi, con serrature meccaniche a prova di bomba, chissà per contenere che cosa..
Altri tunnel, labirintici, che si illuminano al nostro passaggio, e poi un'altra area con enormi pistoni circondati da scariche di energia colorata, il frastuono è terribile ma il convoglio prosegue imperterrito, e noi continuiamo ad essere spettatori ignari di quello che stiamo vivendo, aspettando finalmente di arrivare a destinazione.
Poco per volta percepiamo di essere un minuscolo ingranaggio in una macchina perfettamente oliata che esegue operazioni di smistamento, gestione merci, attività scientifiche e militari in una totale automazione, come vediamo dai macchinari che ci sfilano di fianco; la presenza dell'uomo pare essere minima in questa base di ricerca , e dopo svariati minuti di viaggio ancora non intravediamo il traguardo, il nostro posto di lavoro, mentre ci addentriamo nelle viscere della montagna, con una sottile inquietudine di fondo.
Scendiamo ancora più in basso, fino ad arrivare a uno spiazzo dove facciamo strada a un enorme robot aracnoide che lavora in una pozza di materiale radioattivo verde Tommyknocker, mentre sulla sinistra notiamo un convoglio fermo identico al nostro, con all'interno uno scienziato e un elegante signore in giacca e cravatta che ci scruta, immobile.
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Il primo "incontro" con il G-Man. |
La sequenza iniziale che ho descritto è un esempio di come vivremo la storia di Gordon Freeman, che non ci verrà mai descritta con scene d'intermezzo, filmati o schermate iniziali, ma semplicemente verrà "presentata" a mano a mano che vivremo gli eventi narrati, con un sistema di sequenze scriptate che fanno seguire a una causa (l'attraversamento di un determinato luogo, o l'avvicinarsi a un macchinario) un effetto conseguente ben preciso (il crollo del soffitto, o l'inizio di un dialogo); tutto ciò spinge il giocatore a pensare di trovarsi in una realtà effettiva con precisi legami sequenziali tra azione e reazione, in un continuum di eventi che appassiona e che aiuta la sospensione di incredulità.
Non esistono quindi "livelli" in senso stretto, o porte che conducono a un'area diversa, ma esiste un fluire continuo e ininterrotto della storia, divisa in blocchi per comodità e per esigenze di hardware: le sezioni di gioco sono piuttosto piccole per favorire il caricamento degli stessi, ma non si avverte mai una discontinuità. Sempre per favorire l'immedesimazione il protagonista Gordon Freeman non parla mai, non si vede mai, quindi possiamo a tutti gli effetti ESSERE noi Gordon Freeman.
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Esempio dell'interfaccia di Half-Life: rivoluzionaria è dir poco |
Provate a confrontare questa immagine con quelle di Duke Nukem 3D e di Doom: altri giochi e altre epoche ovviamente, ma anche altre un'altra concezione di un genere che ormai era giunto a maturazione e si era trasformato: appoggiandosi sulle solide fondamenta dei "padri fondatori", Half-Life realizza il sogno e l'ideale di un gioco completo sotto tutti i punti di vista, che sa unire le perfette meccaniche di uno sparatutto con una narrazione di altissimo livello, raccontata in modo innovativo e intenso, e che permette al fruitore di vestire i panni convincenti di un fisico teorico che di colpo si ritrova a lottare contro una forza aliena, cercando di sfuggire da una base di ricerca sotterranea, braccato anche dai militari che intendono insabbiare l'incidente.
Proprio nel protagonista c'è l'ennesimo e forse più grande punto di rottura: in Half-Life non impersoniamo un marine spaziale, un militare americano o una macchina da guerra tutta muscoli e steroidi, ma semplicemente un uomo normale, uno scienziato che una mattina come tante altre va al lavoro e si ritrova dopo la mitica "cascata di risonanza" a combattere contro alieni sbucati da chissà quale universo, e l'unica cosa che può fare è scappare.
La cosa straordinaria è che la storia e le meccaniche di gioco si piegano a questa decisa inversione di tendenza, e qui i ragazzi della software house Valve compiono il capolavoro: in Half Life non si deve solo sparare a tutto quello che si muove, ma bisogna anche usare la testa, d'altra parte siamo nei panni di un fisico teorico, no?
Spesso quindi avremo a che fare con valvole da aprire e chiudere, tubazioni e condotti da riparare, macchinari da utilizzare per superare ostacoli all'apparenza insormontabili, elevatori da attivare, porte da aprire con l'immancabile piede di porco, la prima arma che avremo e lo strumento che ci salverà la vita innumerevoli volte, talmente importante da diventare icona stessa del gioco, e simbolo dell'ingegno scientifico che spesso supplisce l'assenza di forza fisica del nostro buon Gordon
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Eh si, il piede di porco serve anche contro gli scienziati infettati dagli alieni |
Gordon Freeman è stato mio compagno di banco al liceo, me lo ricordo ancora a seguire con interesse le lezioni di fisica e chimica, mentre io sbuffavo perchè ci capivo poco o nulla. Era proprio un nerd quel Gordon, ma con il piede di porco ci sapeva fare.
Eccome.
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