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venerdì 5 dicembre 2014

E' quasi Natale: tempo di Survival Horror

Ok si ritorna a scrivere di videogiochi, dopo qualche giorno di assenza, troppa pioggia e troppo buio qui nella pianura piemontese, invece ora che ci avviciniamo al Natale è proprio nel mood corretto parlare di abomini, corse per salvare la pellaccia, buio e urla raccapriccianti. 

Tempo di Babbo bastardo, giusto antidoto al buonismo e al volemose bene che sta smarmellando - come direbbe Biascica - questi giorni di luminarie semi spente: la crisi impazza, e mi sembra la cosa più sensata risparmiare su quattro luci in croce per venti giorni all'anno, così salveremo l' Italia.

Biascica, da Boris. Chapeau.
Ogni anno per Natale mi regalo un videogioco, ormai è una tradizione; e quest'anno passerò le vacanze con un gran simpaticone, un essere alto, nero, di un altro pianeta, che al posto del sangue ha acido verde corrosivo, insomma, uno xenomorfo. Sto ovviamente parlando di Alien Isolation, primo e unico gioco ispirato direttamente al primo Alien, il capolavoro assoluto della fantascienza che tutti (VERO??) abbiamo visto e che conosciamo a memoria, perchè un film del genere non può non essere "mandato a memoria" come direbbe il buon professor Jones e trasmesso come pura cultura e conoscenza al prossimo, quasi alla moda di codici miniati da ammirare e venerare nei secoli dei secoli, amen.

Una recente immagine che dimostra come anche dopo qualche scaramuccia si possa tornare amici
Quindi scrivo di un gioco che nemmeno ho tolto dalla plastichina e che inserirò nella console solo dopo Natale? si e no insomma, più che altro questo è stato uno spunto, un'ispirazione per questo nuovo post, che si occuperà di SURVIVAL HORROR, perchè si, Alien Isolation uno dei pochissimi rimasti esponenti di questo genere, un'animale in estinzione, un gorilla bianco nella giungla del casual gaming, una roccaforte assediata dagli sparatutto alla Call of Duty e dai Live Arcade buoni per riempire le pause pranzo.


Col passare degli anni, delle mode, delle console e del pubblico di videogiocatori, prodotti nati inizialmente come survival horror si sono trasformati lentamente ma inesorabilmente in giochi diversi, nei quali gli elementi fondanti del genere sono andati poco per volta sparendo, lasciando un grande vuoto per tutti gli appassionati, come il sottoscritto.

ALT!!! un attimo di pausa per inserire una definizione, proprio come si fa nei blog e negli articoli seri - come se chi sta leggendo non sapesse di cosa sto parlando..

il SURVIVAL HORROR è un genere molto particolare e atipico rispetto a tutti gli altri videogiochi; lo scopo del giocatore è essenzialmente sopravvivere in situazioni critiche, scontrandosi con forze soverchianti e spesso imbattibili, potendo contare su risorse limitate e sulla propria astuzia. Di solito sono giochi molto difficili e impegnativi, nei quali riveste molta più importanza l'atmosfera e l'ambientazione rispetto alle meccaniche di gioco, attuando quindi un ribaltamento strutturale rispetto a tutti gli altri generi.

Una tipica situazione da survival horror
OK fine della definizione, molto stringata ovviamente, ma che volete che vi dica, le definizioni sono fatte cosi.

Prima di questa forzatissima pausa accennavo ad alcuni giochi che evolvendosi nei loro numerosi sequel hanno cambiato pelle, trasformandosi da survival horror in action adrenalinici, e sto parlando specificatamente di Silent Hill 2, Resident Evil 3, Dead Space e Alone in The Dark.

Prima di altro sproloquio però ritengo interessante (chiedo scusa per il tono professorale) parlare un pò della nascita e della storia di questo genere, basandomi su questo interessantissimo articolo a firma Travis Fahs apparso sul sito IGN Usa qualche anno fa. 

Ugh.
Il concetto chiave dei survival horror è quello di spaventare i giocatori, questo è chiaro; che poi sia spavento, salto sulla sedia, ansia quasi intollerabile o agitazione, questo è un altro paio di maniche.
I primi giochi a provarci furono le avventure grafiche, ma attenzione, non pensiamo alle vicende fuori di testa di Guybrush Threepwood, dobbiamo tornare indietro fino al 1980, a computer della preistoria come l'Apple II, a vecchi dinosauri tecnologici come i floppy, insomma dobbiamo tornare indietro a Mystery House:
"ti trovi nel vialetto di una grande e abbandonata villa vittoriana. Degli scalini di pietra portano a un'ampia veranda. Digita comando?"
Potete anche mettervi a ridere, ma poi ve ne vergognereste, per alcuni motivi: 
1-Mystery House è stata la prima avventura GRAFICA in assoluto, prima c'erano solo avventure testuali. Non ci sarebbe Zak McKracken, Sam & Max, Syberia, Broken Sword... senza Mystery House, e andremmo ancora avanti a digitare complessi comandi in dos e immaginarci ogni maledetta casa infestata.
2-Mystery House è stato scritto e ideato da Roberta e Ken Williams, chi erano questi carneadi direste voi? sono i fondatori della Sierra Entertainment, e ho detto tutto. 
3-L'idea venne loro dopo avere giocato a Colossal Cave Adventure, la prima avventura testuale in assoluto, datata 1976. Signori, parliamo della storia dei videogiochi con la S maiuscola, parliamo dell'origine della nostra passione, ci vuole rispetto.
4-La trama è ispirata al romanzo giallo "dieci piccoli indiani" di Agatha Christie, un capolavoro assoluto e pietra angolare di questo genere letterario.

Nel 1982 seguì a nastro un altra avventura grafica dalle tematiche simili, "Transylvania", rilasciata oltre che per Atari anche per i sistemi Commodore:

uno spaventosissimo lupo mannaro che spunta da un aeroporto militare abbandonato, a quanto sembra
La grafica era a colori, sempre disegnata a mano, e metteva il giocatore alla ricerca della principessa Sabrina, che si era persa in campagna (??) ed era braccata da lupi mannari, goblin, un vampiro, una strega e una astronave aliena, uno zofecocis insomma; mancavano solo le pere mutanti e i cultisti della dela Kalì e c'erano proprio tutti. Transylvania era ansiogeno non tanto per le tematiche o il cast alquanto variegato, ma perchè era un gioco a tempo: all'alba la principessa moriva, soffocando in una bara in un un castello, buttato li a caso nella campagna, tra alieni e goblin. Aaahhh, che fantastica la fantasia dei creatori di videogiochi.

Queste prime avventure grafiche non facevano altro che riproporre a schermo gli elementi caratteristici dei generi letterari ai quali si ispiravano, e non utilizzavano in alcun modo il "mezzo" videoludico per spaventare il giocatore, si trattava in sostanza di "libri elettronici" se mi passate il termine.

Tutto cambiò con Haunted House, pubblicato da Atari nel 1982, considerato unanimemente il primo survival horror della storia dei videogiochi. Questo perchè Haunted House fu pensato come un gioco spaventoso e che dovesse mettere ansia al giocatore, quindi il "mezzo" videoludico (inteso come grafica, sonoro, atmosfera, gameplay) venne piegato alle esigenze narrative, utilizzato come un martello contro le abitudini dei giocatori che si aspettavano di vedere o leggere quello che stava succedendo in dettaglio, in modo descrittivo. Con Haunted House l'obiettivo di spaventare l'utente fu raggiunto modificando radicalmente il sistema di gioco, e di conseguenza la rappresentazione a schermo delle situazioni narrate.

Uno dei livelli di Haunted House: l'immagine mostra tutto quello che c'è da sapere mentre giochiamo: dove siamo noi, dove sono i mostri, le vite rimaste, il livello e quale dei tre oggetti possediamo
Beh che dire, l'immagine parla chiaro, ci troviamo di fronte a un gioco che vuole bruscamente rompere con il recente passato delle avventure grafiche, rivoluzionando il concetto stesso di survival horror: la scelta intelligente (e vincente, dato il record di copie vendute) del designer James Andreasen fu quella di eliminare quanti più elementi possibile dalla rappresentazione, rinunciando alla grafica realistica per concentrarsi su una messa in scena iconica ma molto accattivante, quasi primordiale, degli elementi chiave di questo genere: l'ignoto, la fuga, il soprannaturale, la fragilità, l'ansia. 
Addirittura il protagonista è rappresentato solo con due occhi (che guardano nella direzione in cui ci muoviamo, fantastici), comunicando immediatamente una sensazione di smarrimento: ci troviamo al buio più completo, che possiamo rischiarare con dei fiammiferi che durano poco e che si spengono appena si avvicina un fantasma o una entità malvagia, che al solo contatto ci toglie una delle nove vite che abbiamo, come i gatti.
Lo scopo del gioco è scappare dai quattro piani della casa infestata, cercando di recuperare tre oggetti evitando i mostri, molto semplice, ma dannatamente stimolante e difficile; mi rendo conto che oggi nel 2014 è difficile farsi un'idea del gameplay di Haunted House, ma andate a vedervi uno dei tanti video su youtube e rimarrete assolutamente affascinati dalla geniale idea di Andreasen: una volta eliminato il superfluo, rimangono solo gli elementi fondanti di questo nuovo genere che stava nascendo, il survival horror.

Si perchè - a ben vedere - Haunted House li racchiude tutti: il protagonista debole che è costretto a fuggire, con ridotte o nulle capacità di combattimento, la ricerca di oggetti per proseguire nel gioco e la ricerca di passaggi sicuri tra un livello e l'altro, la tensione continua e la paura di vedere sbucare da un momento all'altro un mostro che uccide con un solo colpo... insomma, sembra di parlare proprio di un altro gioco, pubblicato ben 32 anni dopo, che sfrutta identici meccanismi, identiche paure dell'animo umano:

Devo proprio dirlo che è uno screenshot di Alien Isolation??
Eh si cazzo è per questo che dobbiamo portare RISPETTO, immenso rispetto e ammirazione per quei pionieri che TRENTADUE anni fa crearono le fondamenta per i giochi che ci appassionano oggi. Solo un ignorante riderebbe di fronte alla schermata di Haunted House, a quegli occhietti e fantasmini spixellati, a quella cacofonia visiva di blocchi colorati come pugni negli occhi; lì è nato tutto, tutto, e se oggi ci viene la tachicardia perchè sentiamo i passi dello xenomorfo mentre tremiamo chiusi in un armadietto dobbiamo pensare che tutto esiste grazie al genio di appassionati nerd che in una cameretta disordinata programmavano i primi computer di un altro nerd che ha condizionato le vite di TUTTI noi, quello Steve che già ci manca tantissimo. Viva i nerd, cazzo.

A proposito di Alien, Xenomorfi e compagnia cantando, c'è un altro gioco fondamentale nella storia dei survival horror che ha molti, ma davvero MOLTI elementi in comune con Alien Isolation, e si tratta di "Project Firestart", pubblicato nel 1986 da Electronic Arts su Commodore 64.
Lo stesso ideatore di Project Firestart, Jeff Tunnell, ha ammesso candidamente di essersi ispirato a Alien (uscito 7 anni prima al cinema) per realizzare quello che ha sempre considerato il suo progetto più ambizioso e complicato, ovvero "un gioco di fantascienza che voleva essere spaventoso" (parole sue); il protagonista veniva inviato su una gigantesca stazione spaziale con la quale si erano persi i contatti, investigare sul destino dell'equipaggio e trovare eventuali sopravvissuti. (Ishimura....Ishimura.....scusate). Presto il protagonista verrà a conoscenza che l'equipaggio, nel tentativo di addomesticare una specie aliena, ha scatenato una progenie di creature affamate di sangue che hanno ucciso tutti gli occupanti della stazione.

Jeff Tunnell, semplicemente grazie. 
Tutte le produzioni che abbiamo citato prima di Project Firestart hanno cercato in un modo o nell'altro di ricreare il genere horror nei videogiochi, talvolta riuscendo a sviluppare le tematiche dell'isolamento e della vulnerabilità, ma nessuno aveva portato a compimento una visione globale del genere come lo conosciamo oggi. 

I principi base di Project Firestart erano gli stessi dei successivi survival horror, come Alone in The Dark e Resident Evil. All'inizio del gioco veniamo subito informati che non è possibile utilizzare armi pesanti nella stazione spaziale, ma soltanto pistole con un ridotto quantitativo di munizioni; i nemici erano mostri molto resistenti dall'incedere lento ma implacabile, e dovevano essere abbattuti prima che si avvicinassero troppo; gli effetti sonori e la musica erano perfettamente integrati nella narrazione, "preannunciando" l'arrivo di nuove minacce e scatenando il panico nel giocatore, già abbastanza sotto pressione per lo scarso quantitativo di pallottole rimaste.

Primo elemento di rottura: Project Firestart, a differenza dei molteplici giochi del periodo che si ispiravano più o meno direttamente ad Alien, NON era uno spara spara ammazza ammazza senza criterio, ma un' avventura più ragionata e dalla progressione non lineare, con elementi mutuati dalle avventure grafiche (trova questo, metti quello qui, ecc); la stazione spaziale era liberamente esplorabile nella sua vastità, e i primi nemici si mostravano solo dopo una ventina di minuti di gioco.

Secondo elemento di rottura: la storia, anzichè venire raccontata con righe e righe di dialoghi - che avrebbero compromesso, secondo Tunnell, il senso di solitudine del protagonista - veniva svelata da numerosi terminali disseminati nella stazione, che riportavano diari di bordo, riflessioni e pensieri dell'equipaggio, racconti di vita che stonavano con il silenzio asettico che opprimeva la struttura, abbandonata a sè stessa e invasa da mostri famelici. La storia veniva quindi raccontata in modo passivo e non attivo, non da personaggi viventi ma da loro "manifestazioni" e "atti" passati. Anche questo aspetto verrà ripreso sia nei survival horror immediatamente successivi (come i già citati Alone in The Dark e Resident Evil), sia più in generale in tutti quei giochi nei quali la narrazione avrà un forte peso specifico.

Uno screenshots di Project Firestart. E' ovvio che ci troviamo di fronte a qualcosa di totalmente "nuovo", nel senso più ampio del termine 
E' strano pensare come elementi che oggi troviamo imprescindibili nei videogiochi (l'importanza della narrazione, la libertà d'azione, l'importanza della colonna sonora..) una volta non fossero presenti, fino a quando qualcuno non ci ha pensato, forse nemmeno rendendosi conto della rivoluzione attuata, come è il caso di Jeff Tunnell.. ora, sinceramente, chi di voi ha mai sentito nominare questo signore? io ammetto che ho scoperto oggi grazie all'articolo di IGN come costui abbia rivoluzionato trent'anni fa un genere, e influenzato molti altri generi diversi. (perchè i terminali con i "log" mica ci sono solo nei survival eh.. cough cough Fallout 3 cough cough..).

Quando pensiamo ai primi survival horror non ci viene di certo in mente Project Firestart, un gioco sconosciuto ai più, dallo scarso successo commerciale, e che non ha avuto nessun sequel; evidentemente era un prodotto troppo innovativo e troppo "avanti" per un panorama videoludico ancora acerbo e poco ricettivo nei confronti di innovazioni di tale portata, troppo rivoluzionarie per un pubblico ancora fortemente legato alla iconografia spicciola dei giochi d'azione o al suo opposto, la magniloquente e verbosa narratività delle avventure testuali e grafiche.

Ma la forza dirompente del nuovo genere dei survival horror scoppierà in tutta la sua rivoluzionaria attrattività sei anni dopo, in quel lontano 1992 che vide la pubblicazione di Alone in The Dark.


Alone in The Dark raccolse l'eredità di Project Firestart, un gioco che inventò un genere quando ancora il mondo non era pronto; allo stesso modo Frederick Raynal, programmatore francese fissato con le potenzialità della terza dimensione, volle dimostrare di potere creare un'avventura horror con personaggi in 3D.
Due visionari quindi, Jeff Tunnell e Frederick Raynal vollero stupire l'industria videoludica con le loro ambiziose fantasie, ma al secondo andò decisamente meglio che al primo: l'intuizione del francese aprì la strada ad un infinito numero di giochi realizzati in un 3D "ibrido", in cui personaggi poligonali si muovevano in ambienti bidimensionali (Resident Evil, Silent Hill, giusto per dire i primi che mi vengono in mente..).

Raynal allo stesso tempo però, si rese perfettamente conto dei limiti della tecnologia dei primi anni novanta, dichiarando testualmente che "circa 20 anni fa, la grafica non poteva rendere i mostri spaventosi, quindi ho dovuto usare metodi diversi"; e come dare torto al mangiarane, a nessuno farebbero paura, nè ora, nè 30 anni fa, nè nel Far West, nè mai, dei mostri fatti di triangoli e cubi che caracollano maldestramente verso un protagonista composto da altrettanti parallelepipedi... come dire, hai provato il 3D? sei contento? potevi anche farne a meno insomma. Doh!
Questi "metodi diversi" avvicinano molto le figure di Raynal e Tunnell, ancora una volta uniti dalla necessità di veicolare il loro messaggio orrorifico tramite il gameplay piuttosto che tramite gli elementi a schermo.

Raynal continua con la sua ricetta per un perfetto survival horror, elencando ingredienti che abbiamo già visto in questa piccola storia del genere più atipico dei videogiochi: il fatto di avere paura più di quello che si vede rispetto a quello che non si vede (il concetto chiave di Haunted House), il fatto di avere molti testi, manoscritti e pergamene da leggere, che possano raccontare una storia complessa e affascinante che non è possibile mostrare senza rischiare di rovinare il senso di solitudine e isolamento del protagonista (proprio come nei terminali di Project Firestart), e l'importanza della musica, onnipresente anche nel gioco di Tunnell, ma qui sfruttata sia per segnalare la presenza di nemici, sia come.. falso allarme, un geniale bluff venuto in mente al francese per tenere sempre la tensione ai massimi livelli.

Raynal è però anche un pò sadico, e un pochino "strunsét" come dicono i mangiabrie, perchè sin dai primi minuti di gioco spaventa il giocatore, letteralmente; prima è il turno di una trappola nel pavimento che non si può evitare, quindi abbiamo paura anche solo di camminare. Poi appare un mostro dietro alla PRIMA porta, quindi dietro ogni porta può esserci un pericolo. Poi troviamo un fucile, però la prima volta che proviamo a sparare si rompe, lasciandoci in balìa degli eventi.
Il concetto chiave chiaro sin dall'inizio della partita è l'estrema vulnerabilità del protagonista quindi, che diventa anche la nostra vulnerabilità psicologica per tutto il tempo che impersoniamo il povero Carnby, alle prese con le presenze demoniache radicate tra le mura dell'enorme villa di Derceto, vera protagonista della vicenda, in un crescendo di terrore, atmosfere Lovecraftiane, paganesimo, occultismo, riti satanici, e chi più ne ha più ne metta.

Alone in The Dark è stato un successo straripante di critica e di pubblico, il capostipite di un nuovo genere di videogiochi maturi e profondi, ha segnato l'ingresso dell'horror e della fantascienza in un terreno fino a quel punto inesplorato. La sua grafica rivoluzionaria, la gestione della telecamera fissa ma con angolazioni studiate alla perfezione e quasi da cinema espressionista tedesco, i suoi riferimenti culturali "alti" - i lavori di Lovecraft, i miti occulti, le sonate di musica classica - e la sua storia affascinante, Alone in The Dark rimane un classico ancora oggi, ancora capace di impressionare e spaventare nonostante la grafica che - questa si - può fare sorridere oggi.

Se Alone in The Dark è la versione più "intellettuale" del survival horror, Resident Evil è quella più caciarona, se Alone in The Dark è un piatto da ristorante da 200 euro a persona, Resident Evil è un enorme porzione di wurstel serviti in una birreria della Baviera.

Giusto per inserire qualcosa di piacevole dopo tanto sproloquio, Ada Wong, presenza fissa nella serie Resident Evil
Esattamente come Reynal, il programmatore della Konami (/inchino) Shinji Mikami era attratto dal fiorire delle nuove tecnologie che avevano dilatato a dismisura gli orizzonti dell'industria videoludica, soprattutto il sempre più massiccio utilizzo delle schede acceleratrici 3D per i personal computer (sena contare il nuovo supporto del CD-ROM, adieu floppi color tristezza!) e le prime vere console casalinghe come la Playstation 1, che pochi giorni fa ha celebrato i 20 anni dall'uscita della prima nata della lunga e fortunata serie di hardware.
Molte erano in effetti le similitudini tra i due giochi, ma semplicemente perchè ormai la direzione era quella, Reynal aveva mostrato ai suoi colleghi un cammino da percorrere senza il rischio di sbagliare, il futuro era quello dei giochi in 3D con fondali pre-renderizzati a due dimensioni, da questo non si scappava.

Ciò nonostante, il deciso e determinato Shinji Mikami fu molto chiaro a sottolineare le differenze tra  due giochi: Resident Evil sarebbe stato un gioco realmente pauroso, senza fantasmi o presenze demoniache solo accennate, ma orde di nemici concreti, feroci, da cui difendersi o scappare. Il giapponese non era interesasto a un survival horror "cerebrale" pieno di riferimenti culturali, con pagine e pagine di libri da leggere, suggestioni occulte, niente di tutto questo; il suo ideale di survival horror era incentrato su un terrore realistico, viscerale, splatter, sanguinolento, che traeva diretta ispirazione dai film di Romero, agli zombi, alla notte dei morti viventi.
Meno manichini viventi e zombi e più carcasse umane sbrindellate e urlanti che sembrano inarrestabili, e che vogliono mangiare la tua carne: Resident Evil è diretto, senza tante palle, robe da leggere, sottotrame, storielle, ci sei tu contro ammassi di zombi senza cervello pronti a mangiarti. Semplice, puro. terrorizzante.

Diretto si, ma senza snaturare il genere: i protagonisti di Resident Evil possono sempre contare su poche armi, poche munizioni, poche possibilità di recuperare energia (le mitiche piantine verdi e rosse con tanto di vaso!! mitiche!! ). NON si tratta di uno sparatutto, o di un gioco di combattimento, si tratta di sopravvivere, prendere decisioni al volo senza esitare, sempre sotto pressione e nell'ansia continua che il caricatore non basta per tutte quelle teste sbavanti.

Dopo il successo sorprendente di Alone in The Dark e la conferma di Resident Evil, che ricalcava gli stessi meccanismi di gameplay modificandone radicalmente atmosfera e setting, il survival horror divenne un genere vero e proprio, con una sua storia e una sua precisa definizione, e presto si passò a un canone, a una codifica degli elementi cardine che divennero la regola a cui affidarsi per tutti coloro che volevano far parte di questo inarrestabile fiume in piena: quello che era iniziato come un esperimento divenne rapidamente un filone amato e che resistette per almeno una decina d'anni, prima della mortifera deriva action.

Prima di andare alla deriva, il fenomeno survival horror durò ancora diversi anni, e l'apice venne raggiunto alla fine del millennio, periodo di paura per il "millenium bug", periodo che ispirò film troppo sottovalutati, periodo che diede alla luce uno dei massimi capolavori dell'intero filone videoludico, Silent Hill:

Ma vogliamo parlare della fantastica copertina del gioco?? già solo questa mette i brividi
E' difficile dare una precisa definizione di Silent Hill, cosa peraltro che accomuna molti capolavori delle arti più svariate, perchè SI, SI, il videogioco E' UN'ARTE, e il survival horror è la massima espressione d'arte possibile, se intendiamo con arte "qualcosa in grado di suscitare emozioni".
Silent Hill seppe coniugare il lato più viscerale, cruento e bestiale dell'horror alla Resident Evil (entrambi della Konami) con quello più subdolo, marcio, accennato, misterioso, che prendeva spunto dalla letteratura di genere e in particolare dai racconti di Stephen King (soprattutto dal racconto "The Mist" contenuto nella raccolta "Scheletri", da cui è strato tratto un buon film tranne la faccia da Coolio del protagonista), stabilendo un nuovo altissimo punto di riferimento per quanto riguarda la narrazione, la sceneggiatura e l'atmosfera in generale.

Ma la forza di Silent Hill è stata anche un'altra, ovvero quella di portare il genere verso una direzione più "umana", introspettiva e "banale", se mi concedere il termine: fino a quel momento i protagonisti dei Survival Horror erano poliziotti, investigatori, militari mandati in missione di salvataggio, o comunque preparati ad affrontare situazioni potenzialmente pericolose, psicologicamente pronti al peggio.
Harry Mason invece non è nulla di tutto questo, è una persona normale, banale, senza nessuna capacità particolare, ovvero incarna la stragrande maggioranza del genere umano. Mentre sta viaggiando con la figlia ha un incidente, sarà capitato a tutti, ma forse non sarà capitato a tutti che al risveglio dalla botta la figlia sparisce, e le frammentarie tracce portano alla periferia di Silent Hill, una città invasa dalla nebbia che sembra disabitata.

Alla ricerca della figlioletta smarrita, Cheryl, mentre cade la neve, mentre la nebbia riempie le strade. Inizio straordinario di un capolavoro.
Già dai primi minuti capiamo di trovarci di fronte a qualcosa di nuovo, una storia tremendamente intrigante, che eviterà i soliti clichè e i soliti "trucchetti" di solito usati per spaventare i giocatori; d'altra parte già la paura di perdere la figlia è un plausibilissimo motivo che spinge una persona "normale" come Harry ad affrontare eventi "paranormali" come quelli che vivrà a Silent Hil.

Se la parola chiave di Alone in The Dark era la vulnerabilità, in Silent Hill il concetto più importante è quello della paura dell'ignoto: la fitta nebbia nasconde ogni cosa, e dietro quel muro bianco può esserci un innocuo albero come una mortifera mostruosità. E in questo risiede il senso più profondo della produzione Konami, un'ennesima variazione sul tema del survival horror, non più cervellotico nè splatter, ma psicologico, con una trama che gioca con le paure più recondite dell'animo umano :la perdita della famiglia, la morte delle persone amate, la citata paura di ciò che non si può vedere nè capire, le paure primordiali vengono risucchiate dal giocatore, catapultate nella vicenda di Harry, rimasticate e sputate addosso a chi tiene il pad, che vive l'angoscia di un padre che ha smarrito la figlia in una città immersa nella nebbia.

E poi cominciò il declino. Le ragioni che stanno dietro a questa trasformazioni non sono chiare, ma come dice il codice del Samurai "la fine è importante per tutte le cose", infatti dalle ceneri del survival horror nacquero nuovi generi che seppero ibridare in un unico prodotto vari generi, distruggendo le compartimentazioni tra giochi d'azione, giochi di fantascienza, e appunto survival horror. Senza questo declino, cominciato intorno al 2002, non avremmo mai avuto uno dei più importanti capolavori della storia del videogioco moderno, cioè Half Life.

Il canto del cigno forse fu Silent Hill 2, pubblicato da Konami nel 2001, che proprio non si voleva arrendere al declino del genere, che aveva sparato le sue migliori cartucce e poco per volta si stava accartocciando su se stesso; il problema fu proprio questo, ormai si era su un territorio ben mappato, la cartografia era stata codificata e studiata in ogni sua parte, e agli inizi del nuovo millennio avevamo già scoperto - come isole e montagne - le lande dell'horror psicologico, gli altopiani del thriller fantascientifico, le vallate del sanguinolento splatter romeriano; le novità tecnologiche - come il 3D - erano già entrate prepotentemente nel genere e i cascami delle loro innovative applicazioni erano ormai giunte a un termine deciso: più che passare da una telecamera fissa a una libera alle spalle del protagonista, non c'era altro da fare, non c'era più nemmeno un centimetro di terra vergine da scoprire.

E così andando avanti con le serie, poco per volta le cose cambiarono inesorabilmente: se Silent Hill 2 manteneva un robusto impianto da survival horror, calcando le orme del suo illustre predecessore, Silent Hill 3 smarrì la strada maestra, spostandosi dalla città ammantata nella nebbia a un supermercato anonimo.


Dai, in questo grigiore tristanzuolo ci sta una fan art divertente. Piramide Testa non era cosi amichevole, mi pare
Allo stesso modo, Alone in The Dark 2 divenne un gioco action con elementi misterici legati al vuduismo e alla santeria, al sincretismo caraibico praticato da pirati non-morti che presero il posto delle apparizioni demoniache: Raynal aveva abbandonato la casa produttrice Infogrames, e inevitabilmente si perse lo spirito del precursore. Non parlo nemmeno di Alone in The Dark 3 e al reboot action successivo e più recente, perchè ha solo infangato il nome della serie. Teniamo a mente Villa Derceto e rendiamo sempre onore a Raynal.

Resident Evil invece ha cambiato pelle a partire dal quarto episodio, uscito nel 2005, che segnò una netta rottura con il passato, seppur mantenendo l'aspetto più cruento e splatter dei predecessori. Cambia la location (siamo in Spagna, poi in un castello, poi su un'isola), i protagonisti, i nemici (gli zombi sono sostituiti da contadini infettati da parassiti), e viene definitivamente abbandonato il genere survival horror in favore di un action equilibrato e molto molto horror, che si rivelò poi un capolavoro assoluto.
Sinceramente, dovrei dedicare un intero post a Resident Evil 4, perchè c'è davvero TANTO; TANTISSIMO da dire, ma non posso farlo ora, ho già scritto troppo.

Almeno una foto dovevo metterla. Potrei parlare della visione alle spalle del protagonista che ha influenzato i vari Gears of War, il puntamento laser che ha influenzato Dead Space, Las Plagas che ricordano i necromorfi, ma alla fine dedico la foto al mercante, fantastico, che si trova un pò qui e un pò la in mezzo a teste che esplodono e colpi di fucile, calmo e impassibile come se fosse in gita scolastica
Ma alla fine insomma, i survival horror sono morti? beh come si dice non godono di ottima salute, più che altro sono diventati prodotti di nicchia, non molto apprezzati dall'utente generico, che non gioca per spaventarsi e per riflettere, ma per sparare spensieratamente a tutto ciò che si muove.
E' un processo simile a quello che è accaduto agli stealth game di inizio anni 2000, i vari Metal Gear Solid, Thief, Commandos, sono tutti spariti, troppo difficili, troppo impegnativi, e sono rinati saltuariamente ma in forma molto più "accessibile", vedi Dishonored, stealth ma non troppo, e comunque si può sempre sparare all'impazzata e il gioco non punisce eccessivamente. Hitman invece, sticazzi, mai sopportato.

Ogni tanto, proprio come fa IT, questi survival horror saltano fuori e creano scompiglio: generi non facilmente inquadrabili, bizzarrie in un mondo videoludico che ha innalzato da anni il vessillo del casual gaming e degli sparatutto "su rotaie", roba da nerd, da fissati, da giocatori che vogliono masochisticamente sottoporsi a infinite sessioni di trial & error pur di avere la soddisfazione di raggiungere quel maledetto punto di salvataggio, giocatori che sono ancora disposti a riflettere, a pensare ad ogni passo prima di fare qualunque cosa.

Predete Dead Space ad esempio, spuntato dal nulla come un fungo nel 2008, in pieno periodo action/spaccatutto/sandbox. Sembrava un miracolo, ma avevamo tutti noi appassionati di survival horror un VERO survival horror, pieno di angoscia, paura, vulnerabilità, incertezza, imprevedibilità, insomma tanta roba, anzi roba da stropicciarsi gli occhi.

Vogliamo parlare dei nemici di Dead Space? vogliamo parlare di quanto fanno terrore, puro terrore, le urla dei necromorfi nei corridoi insanguinati della Ishimura??
Con Dead Space ritorniamo allo spazio siderale buio, ghiacciato e vuoto che così poche volte è stato teatro dei survival horror; il protagonista è - come da codifica decennale del genere - un uomo qualunque, un ingegnere minerario, Isaac Clarke (vi dicono niente questi due nomi? io non parlo, se non lo sapete cheidete a qualcuno che legga fantascienza), che si ritrova a bordo della nave mineraria Ishimura, con la quale - ovviamente - si sono persi i contatti radio; i riferimenti a Project Firestart sono evidenti, e sicuramente si tratta di ben più di una citazione, quasi un omaggio allo sfortunato precursore.

Dead Space è un survival horror in piena regola, infatti ha venduto poco ed è stato poco apprezzato, nonostante sia un capolavoro. Isaac Clarke è fragile, goffo, le sue armi non sono fucili a impulsi alla marine coloniale, ma cariche sismiche, pistole multiraggio per rompere le rocce, insomma palline di sputo contro i necromorfi, che avanzano velocissimi, spietati, e a volte paiono davvero inarrestabili.

I corridoi della Ishimura sono angoscianti, tra neon traballanti e rumori metallici che rimbombano contro l'acciaio macchiato da sangue umano e alieno; i terrificanti - perchè sono DAVVERO terrificanti - mostri possono apparire in ogni parte, sfondare i soffitti, sbucare dai condotti di ventilazione, spuntare da ogni angolo, da porte che sembrano chiuse e si, vengono fuori dalle fottute pareti. Giocare a Dead Space non è per niente facile, e spesso ho dovuto interrompermi, accendere la luce e ripetermi che era solo un gioco, e che non ero dentro un'astronave alla deriva nello spazio.

Infatti il pubblico non ha apprezzato, "faceva troppa paura", e questo ha spinto la EA a fare un seguito insulso, dove era sparito tutto ciò che era angosciante, e tranne in un paio di frangenti non ho dovuto mai accendere la luce e mettere in pausa. Quindi anche quel capolavoro immenso di Dead Space col passare degli anni e degli episodi si è trasformato in un action dove bisogna sparare follemente a tutto ciò che si muove. Nel terzo episodio appaiono anche nemici umani, quindi adios muchachos, come direbbe Vazquez.

Quindi per concludere, 4 serie di videogiochi di 4 di quelle analizzate hanno negli anni annacquato sempre di più il loro carattere duro e puro di survival horror snaturandosi a tal punto da diventare qualcos'altro; quindi un cambiamento c'è stato, un cambiamento di gusti, di mode, di pubblico, come detto, e non ci si può fare niente, certe cose bisogna accettarle, con amarezza per quanto mi riguarda.

Forse i videogiocatori non vogliono spaventarsi, hanno paura di avere paura, forse perchè la vita è già un immenso survival horror, tutti siamo fragili, non sappiamo da dove arriva il pericolo, abbiamo ben poche munizioni da sparare e pochi punti di salvataggio, senza contare che spesso i nemici sono molto più potenti di noi, a volte sono imbattibili, Cristo santo, proprio come Piramide Testa, e possiamo solo scappare.

Eppure, io tengo duro. Io voglio avere paura, una paura cristallina, pura, primordiale perchè slegata da ogni realtà tranne quella in cui mi immergo, una paura che mi costringe a scendere a patti con la mia individualità, i miei recessi, una paura che posso mettere in pausa, ma che voglio anche affrontare.

Voglio chiudere con un'immagine della paura, gli occhi di Amanda Ripley che fissa lo xenomorfo, il terrore allo stato puro.


Ti aspettavo, Alien Isolation.


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