Torna la rubrica "Un gioco, un perchè", nuovamente incentrata su un giochillo del glorioso e mitico Sega Mega Drive, Alien Storm.
Scusate se insisto su questa console ma ha segnato la mia infanzia / prima adolescenza, quindi il legame affettivo è molto forte, e anche senza volerlo quando penso a quelle cartucce nere una marea di ricordi mi assale incontrollata; in questo caso specifico mi lampeggia in testa una mattina di Natale di ben 24 anni fa , il sole che filtra aggressivo dalle tapparelle abbassate e io che friggo alieni su un grosso televisore a tubo catodico, mentre chiedo a mio padre di riprendere lo schermo con la nuova telecamera gigantesca manco fosse quella di uno studio televisivo.
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Ecco appunto, grande pressapoco come la JVC di Marty |
1991 dunque, periodo d'oro per il Mega Drive (o Genesis, come era chiamato negli Stati Uniti, nome molto più figo ma pazienza), e periodo d'oro per i picchiaduro a scorrimento orizzontale, genere super mega iper inflazionato con tonnellate di cloni che venivano sganciati a ripetizione sul mercato come bombe a grappolo.
Era insomma un periodo in cui era comune andare verso destra, picchiare un pò di gente, poi andare ancora a destra, picchiare altra gente, andare ancora a destra e picchiare il boss di fine livello;
la cosa straordinaria era che quando arrivavano i nemici sullo schermo il mondo smetteva di esistere, si riduceva a quello spazietto minuscolo riempito di punchball ambulanti, per poi ritornare magicamente alla normalità una volta "fatta pulizia".
Erano anni in cui era di moda il gioco "di menare" come direbbe Hermes Delmontecastagna, non solo sul divano di casa ma anche nelle sale giochi, piene zeppe di "beat 'em up" come era chiamato questo genere nel mondo anglosassone; spesso questi giochi erano convertiti per le console casalinghe con risultati più o meno soddisfacenti, ma a volte l'unico modo di prendere a calci i gaglioffi era inserire la monetina nel cassone dei sogni, come nel caso del leggendario Vendetta, oggi perfettamente emulato con il M.A.M.E.
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Ecco il fantastico Vedetta nella versione sala giochi del 1991. |
Avrò avuto 12 anni, aspettavo con trepidazione il primo pomeriggio per uscire con un mio amico e andare alla baracchina del quartiere a giocare a Vendetta nell'unico cassone presente, che - guarda caso la fortuna - era proprio questo beat 'em up da bava alla bocca, con una giocabilità fantastica e livelli lunghi e ben caratterizzati, con boss tosti e dal grande carisma come "The Missing Link" o "Buzzsaw Bravado", li ricordo ancora!
Si poteva usare qualsiasi cosa come arma: sacchi di cemento, secchi, pietre, bastoni, bottiglie, coltelli, molotov, e soprattutto un fantastico fucile a pompa, l'unica arma da fuoco presente solo in un preciso posto di un preciso livello, e che era mia per diritto quando giocavamo in copia, avevo deciso così io, e giocavo quasi solo per sparare con quel fucilone che catapultava all'indietro i nemici.
Ma torniamo al nostro Alien Storm senza divagare oltre, cosa che purtroppo mi riesce fin troppo bene.
Si trattava dunque di un gioco perfettamente coerente con i gusti e le mode del periodo, che vide l'affermazione tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90 di numerosi franchise e serie di videogiochi tutti sostanzialmente identici nel gameplay e con solo piccole variazioni nei personaggi e nell'ambientazione: Final Fight, Streets of Rage, Altered Beast, Golden Axe, tutti cloni l'uno dell'altro, amatissimi dai videogiocatori ma pur sempre prodotti che non portavano grandi novità al genere, anzi tendevano a spremerlo fino all'ultima goccia cavalcando la moda del periodo.
Alien Storm non rientra in questi franchise di successo, è un gioco poco conosciuto che finì ben presto per smarrirsi nel panorama affollato degli sparatutto a scorrimento orizzontale dei primi anni '90, pur presentando delle caratteristiche uniche, innovative e perfettamente integrate nel gameplay;
è proprio per questo motivo che ho deciso di parlarne oggi, per salvare dall'anonimato un prodotto che - pur staccandosi parzialmente da quel filone ormai spremuto e prossimo all'estizione - venne presto dimenticato senza che gli venissero riconosciuti i giusti meriti, dinamica purtroppo ricorrente nella storia dei videogiochi.
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Ecco la fantastica cover di Alien Storm, da notare il robot simil Cylone e l'eroe in tutina aderente rossa... troppo anni '80 |
Come il titolo suggerisce, l'ambientazione è di quella che più scontata, trita e ritrita non si può: gli alieni hanno invaso la terra e noi dobbiamo sconfiggerli tutti e salvare il pianeta, niente di più, niente di meno. Per fronteggiare la minaccia cosmica potremo scegliere tra tre improbabili eroi: Karla, prorompente ragazzona armata di lanciafiamme in tutina aderentissima, Garth, eroe alla Blood Dragon con canotta molto poco mascolina, e infine Scooter, robot che ama farsi esplodere in mille pezzi.
Sebbene si potesse scegliere tra tre personaggi all'apparenza molto diversi tra di loro, a livello di gameplay era indifferente scegliere l'uno o l'altro, il tutto si riduceva a un fattore puramente estetico: infatti i tre attaccavano nello stesso modo e le loro caratteristiche fisiche (velocità, danno, resistenza, salto..) erano assolutamente identiche; l'attacco speciale (che come da prassi consumava un pò di energia vitale) era reso graficamente in modo molto diverso, ma causava lo stesso quantitativo di danno agli alieni.
Ciò può sembrare inconcepibile ad un giocatore moderno abituato a decine di caratteristiche diverse e personaggi precisamente caratterizzati e differenti in ogni loro caratteristica; se pensiamo a un grande classico dello stesso anno di pubblicazione (1991) come Street of Rage viene naturale pensare che la scelta del personaggio si rifletta in un diverso approccio ai nemici, più improntato alla potenza, alla agilità o alla resistenza, come si vede nell'immagine qui sotto:
La maggiore complessità dei picchiaduro a scorrimento orizzontale nacque proprio in quel periodo, e solo in un paio d'anni questo tipo di prodotto cambiò radicalmente, facendosi via via sempre più complesso, vario e piacevole da giocare.
Se pensiamo ad esempio al capolavoro da sala giochi Cadillac & Dinosaurs, pubblicato dalla SEGA nel 1993, o allo spettacolare Streets of Rage 3, notiamo subito che dei vecchi beat 'em up è rimasta solo l'ossatura, sulla quale sono stati costruiti giochi completamente diversi: aumentano le mosse a disposizione dei giocatori, i personaggi sono sempre più differenziati, l'interazione con l'ambiente circostante raggiunge livelli mai visti, e anche la struttura stessa dei livelli è molto più articolata.
Due/tre anni quindi bastano a trasformare radicalmente un genere, ma il caso di Alien Storm è diverso, perchè il gioco di cui sto parlando appartiene ancora alla "vecchia scuola", allo step evolutivo precedente, il cui più grande rappresentante è Golden Axe, fortunatissima serie di giochi picchiaduro ad ambientazione fantasy iniziata nel 1989 nelle sale giochi.
Le similitudini tra Alien Storm e Golden Axe sono evidenti: abbiamo solo tre personaggi tra cui scegliere - un uomo, una donna e "un'altra cosa", sia esso un nano o un robot -, dalle caratteristiche identiche che non cambiano nulla a livello di gameplay; ovviamente le armi e i poteri speciali sono diversi, ma hanno il medesimo effetto sui nemici; le ambientazioni sono disposte su un unico livello e non c'è praticamente alcuna interazione possibile, se non la sporadica raccolta di qualche power-up.
Perchè quindi parlare di Alien Storm, se si tratta come sembra un semplice clone di un gioco di successo come Golden Axe? perche a suo modo, questo ammazza-ammazza-spara-spara di alieni orrendi e strambi è stato rivoluzionario.
Alien Storm infatti si differenzia dalla sconfinata mole di sparatutto a scorrimento orizzontale di inizio anni novanta per alcune scelte di gameplay molto rischiose ma che funzionavano in modo egregio, come l'introduzione di numerosi livelli di sparatutto in soggettiva, alcune sequenze "di corsa" (non so come altro dirlo, dopo spiego abbiate fede!), e un livello finale decisamente insolito.
La pensata di passare repentinamente da uno sparatutto a scorrimento a uno in soggettiva fu decisamente azzardata: poteva venire fuori una schifezza immane, invece questi brevi livelli erano una specie di intermezzo molto divertente, che spezzavano la monotonia di un gioco dall'incedere lento e decisamente ripetitivo
In sostanza, c'era semplicemente da sparare a ogni cosa che si muoveva a schermo, ed era davvero spassoso sfasciare interi negozi di elettronica e supermercati, fare un casino colossale facendo saltare barattoli ed esplodere schermi di grossi televisori, mentre alieni dai colori improbabili saltavano da tutte le parti e cadevano stecchiti sotto i colpi della nostra arma (uguale per tutti e tre i personaggi tranne per il colore).
Altra variazione sul tema erano le sequenze "di corsa", che ho chiamato così perchè in effetti vedeva il personaggio correre a perdifiato da sinistra a destra, e il giocatore poteva solo spostarsi sullo schermo, saltare e sparare ma non interrompere il movimento, che era sensibilmente più veloce rispetto ai livelli normali.
La presenza di queste sequenze, oltre a essere una novità per gli sparatutto a scorrimento del periodo, in realtà anticipa una tendenza che si consoliderà negli anni a venire, ovvero quella di introdurre livelli particolari per variare il ritmo del gioco, come le celebri scorrazzate a bordo della cadillac del già citato Cadillac & Dinosaurs; in un periodo di totale omologazione e di "copia-incolla", l'originalità mostrata da Alien Storm non è assolutamente da sottovalutare.
L'ultimo livello del gioco è ambientato totalmente all'interno dell'astronave aliena: sebbene a livello di design la monotonia regni sovrana - tutti gli schemi sono uguali ma con colori diversi - ci sono almeno un paio di cose da notare: la prima è che l'astronave è strutturata come un labirinto: in ogni schema abbiamo un numero variabile di uscite che conducono alle varie stanze della struttura, quindi è necessario memorizzare il giusto percorso per evitare di combattere all'infinito contro gli stessi mostri e per raggiungere il mostro finale, riprodotto nell'immagine sotto:
Come si vede dallo screenshot, il boss finale non viene affrontato nel modo "classico", ma utilizzando la visuale in prima persona: quindi quello che pareva essere una sorta di "riempitivo" utile solo a variare il gameplay si rivela essere al contrario una modalità di gioco completa ed essenziale, scelta per il momento più importante e più difficile, quello contro l'ultimo avversario.
In conclusione quindi, sebbene Alien Storm sia ancorato a una visione più "arretrata" e tradizionale degli sparatutto a scorrimento orizzontale, contiene allo stesso tempo elementi rivoluzionari che verranno approfonditi negli anni a venire e che diverranno parte di un canone a cui tutti questi prodotti si adegueranno.
Proprio per questo Alien Storm non merita di rimanere nell'oblio, e ancora oggi, dopo ben 24 anni di distanza, è ancora divertente da giocare.
Buon retrogaming a tutti e alla prossima!
Le altre puntate di "Un gioco, un perchè"
DeCap Attack
Sebbene si potesse scegliere tra tre personaggi all'apparenza molto diversi tra di loro, a livello di gameplay era indifferente scegliere l'uno o l'altro, il tutto si riduceva a un fattore puramente estetico: infatti i tre attaccavano nello stesso modo e le loro caratteristiche fisiche (velocità, danno, resistenza, salto..) erano assolutamente identiche; l'attacco speciale (che come da prassi consumava un pò di energia vitale) era reso graficamente in modo molto diverso, ma causava lo stesso quantitativo di danno agli alieni.
Ciò può sembrare inconcepibile ad un giocatore moderno abituato a decine di caratteristiche diverse e personaggi precisamente caratterizzati e differenti in ogni loro caratteristica; se pensiamo a un grande classico dello stesso anno di pubblicazione (1991) come Street of Rage viene naturale pensare che la scelta del personaggio si rifletta in un diverso approccio ai nemici, più improntato alla potenza, alla agilità o alla resistenza, come si vede nell'immagine qui sotto:
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La schermata di selezione del personaggio di Street of Rage 2. |
Se pensiamo ad esempio al capolavoro da sala giochi Cadillac & Dinosaurs, pubblicato dalla SEGA nel 1993, o allo spettacolare Streets of Rage 3, notiamo subito che dei vecchi beat 'em up è rimasta solo l'ossatura, sulla quale sono stati costruiti giochi completamente diversi: aumentano le mosse a disposizione dei giocatori, i personaggi sono sempre più differenziati, l'interazione con l'ambiente circostante raggiunge livelli mai visti, e anche la struttura stessa dei livelli è molto più articolata.
Due/tre anni quindi bastano a trasformare radicalmente un genere, ma il caso di Alien Storm è diverso, perchè il gioco di cui sto parlando appartiene ancora alla "vecchia scuola", allo step evolutivo precedente, il cui più grande rappresentante è Golden Axe, fortunatissima serie di giochi picchiaduro ad ambientazione fantasy iniziata nel 1989 nelle sale giochi.
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Screenshot tratto dal coin-op di Golden Axe: come accade in Alien Storm, i "civili" sono elementi di contorno che fuggono dai mostri/alieni appena arriviamo nell'area del combattimento. |
Le similitudini tra Alien Storm e Golden Axe sono evidenti: abbiamo solo tre personaggi tra cui scegliere - un uomo, una donna e "un'altra cosa", sia esso un nano o un robot -, dalle caratteristiche identiche che non cambiano nulla a livello di gameplay; ovviamente le armi e i poteri speciali sono diversi, ma hanno il medesimo effetto sui nemici; le ambientazioni sono disposte su un unico livello e non c'è praticamente alcuna interazione possibile, se non la sporadica raccolta di qualche power-up.
Perchè quindi parlare di Alien Storm, se si tratta come sembra un semplice clone di un gioco di successo come Golden Axe? perche a suo modo, questo ammazza-ammazza-spara-spara di alieni orrendi e strambi è stato rivoluzionario.
Alien Storm infatti si differenzia dalla sconfinata mole di sparatutto a scorrimento orizzontale di inizio anni novanta per alcune scelte di gameplay molto rischiose ma che funzionavano in modo egregio, come l'introduzione di numerosi livelli di sparatutto in soggettiva, alcune sequenze "di corsa" (non so come altro dirlo, dopo spiego abbiate fede!), e un livello finale decisamente insolito.
La pensata di passare repentinamente da uno sparatutto a scorrimento a uno in soggettiva fu decisamente azzardata: poteva venire fuori una schifezza immane, invece questi brevi livelli erano una specie di intermezzo molto divertente, che spezzavano la monotonia di un gioco dall'incedere lento e decisamente ripetitivo
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Uno dei livelli sparatutto in soggettiva, ambientato in un supermercato. |
In sostanza, c'era semplicemente da sparare a ogni cosa che si muoveva a schermo, ed era davvero spassoso sfasciare interi negozi di elettronica e supermercati, fare un casino colossale facendo saltare barattoli ed esplodere schermi di grossi televisori, mentre alieni dai colori improbabili saltavano da tutte le parti e cadevano stecchiti sotto i colpi della nostra arma (uguale per tutti e tre i personaggi tranne per il colore).
Altra variazione sul tema erano le sequenze "di corsa", che ho chiamato così perchè in effetti vedeva il personaggio correre a perdifiato da sinistra a destra, e il giocatore poteva solo spostarsi sullo schermo, saltare e sparare ma non interrompere il movimento, che era sensibilmente più veloce rispetto ai livelli normali.
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Uno dei livelli "di corsa", sostanzialmente un gioco di schivate e fuoco continuo contro le orde di alieni che ci vengono addosso. |
L'ultimo livello del gioco è ambientato totalmente all'interno dell'astronave aliena: sebbene a livello di design la monotonia regni sovrana - tutti gli schemi sono uguali ma con colori diversi - ci sono almeno un paio di cose da notare: la prima è che l'astronave è strutturata come un labirinto: in ogni schema abbiamo un numero variabile di uscite che conducono alle varie stanze della struttura, quindi è necessario memorizzare il giusto percorso per evitare di combattere all'infinito contro gli stessi mostri e per raggiungere il mostro finale, riprodotto nell'immagine sotto:
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Il mostro finale di Alien Storm, la mente (in tutti i sensi!) dietro all'invasione aliena, protetta da wafer giganti e mostri volanti che sparano altri mostri. |
Come si vede dallo screenshot, il boss finale non viene affrontato nel modo "classico", ma utilizzando la visuale in prima persona: quindi quello che pareva essere una sorta di "riempitivo" utile solo a variare il gameplay si rivela essere al contrario una modalità di gioco completa ed essenziale, scelta per il momento più importante e più difficile, quello contro l'ultimo avversario.
In conclusione quindi, sebbene Alien Storm sia ancorato a una visione più "arretrata" e tradizionale degli sparatutto a scorrimento orizzontale, contiene allo stesso tempo elementi rivoluzionari che verranno approfonditi negli anni a venire e che diverranno parte di un canone a cui tutti questi prodotti si adegueranno.
Proprio per questo Alien Storm non merita di rimanere nell'oblio, e ancora oggi, dopo ben 24 anni di distanza, è ancora divertente da giocare.
Buon retrogaming a tutti e alla prossima!
Le altre puntate di "Un gioco, un perchè"
DeCap Attack
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